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Alberto Burri

Il mercato dell’arte: Alberto Burri

Alberto Burri, Rosso gobbo, 1953, acrilico, tessuto e resina su tela, 56,5 x 85 cm, Private collection, Rome, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015, Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome
Alberto Burri, Rosso gobbo, 1953, acrilico, tessuto e resina su tela, 56,5 x 85 cm, Private collection, Rome, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015, Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome

 

MILANO, Italia – Nato nel 1915 a Città di Castello, in provincia di Perugia, da un commerciante di vini e una maestra elementare, l’artista italiano Alberto Burri si laureò in medicina all’Università degli Studi di Perugia nel 1940. Nel corso della seconda guerra mondiale si arruolò come medico nell’esercito in Nord Africa, e fu fatto prigioniero dagli inglesi in Tunisia. Consegnato agli americani, fu portato in Texas e rinchiuso per un anno e mezzo nel campo di prigionieri di guerra di Hereford. In questo periodo, sconfortato dalla guerra e dalla prigionia, maturò la convinzione di lasciare la medicina e dedicarsi alla pittura. Arrivato nel campo di prigionia, infatti, gli fu sottratta la borsa degli attrezzi medici, e così la sua identità di medico. Sfruttò, quindi, le possibilità di fare attività offerte ai detenuti e iniziò a dipingere. Tra le sue prime opere c’è una rappresentazione realistica del paesaggio americano visto dalla finestra della prigione (“Texas”, 1945, conservato in una collezione privata a Roma).

Rientrato in Italia nel 1946 si trasferì a Roma intenzionato a dedicarsi a tempo pieno alla pittura. Iniziò a esporre tra il 1947 e il 1948, dapprima mostrando opere figurative e poi astratte. Già alla fine degli anni 40, infatti, iniziò a introdurre vari materiali nelle sue opere con i “Catrami”, realizzati con olio, catrame, sabbia, vinavil e pietra pomice su tela. Il 1950 fu un anno di grande sperimentazione: realizzò le prime “Muffe”, grazie alla reazione della pietra pomice con la pittura ad olio; il primo “Gobbo”, un rigonfiamento fatto con rami dietro alla tela; e il primo “Sacco”, con la juta cucita. Nei primi anni 50 arrivarono, poi, anche i “Bianchi” e “Neri” e la mostra alla Galleria dell’Obelisco, centro dell’avanguardia romana. Nel 1953 ci fu la prima mostra negli Stati Uniti, alla Allan Frumkin Gallery di Chicago, che poi fu trasferita alla Stable Gallery di New York. Negli anni seguenti l’attività espositiva di Burri fu molto fitta, sia in Italia che all’estero e negli Stati Uniti, dove esposte anche al Guggenheim e al MoMA.

 

Alberto Burri, Legno e bianco I, 1956, legno, combustione e acrilico e vinavil su tela, 87,7 x 159 cm, Solomon R. Guggenheim Museum, New York 57.1463, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome
Alberto Burri, Legno e bianco I, 1956, legno, combustione e acrilico e vinavil su tela, 87,7 x 159 cm, Solomon R. Guggenheim Museum, New York 57.1463, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome

 

A metà degli anni 50, molto apprezzati erano i suoi “Sacchi”, ma allora iniziò anche la produzione delle “Combustioni” su legno, tela e plastica. La prima di queste opere a essere esposta fu “Rosso Combustione Plastica” (1957, collezione privata) alla Rome-New York Art Foundation nel luglio 1957. Attraverso il realismo dei materiali, le opere di Burri rappresentavano un contraltare al soggettivismo dell’Espressionismo astratto americano e del Tachisme europeo, mentre furono influenti per la generazione del Nouveau Réalisme francese e del Gruppo Zero tedesco. Il significato delle opere di Burri non era quello di distruggere la pittura o provocare, quanto riflettere il trauma della storia recente, la sua esperienza e le condizioni dell’Europa del dopoguerra attraverso materiali che rappresentavano la vulnerabilità, il danno e la ricostruzione.

 

Alberto Burri, Grande bianco plastica, 1964, Plastica (PVC) e combustione su cornice di alluminio, 191,8 x 292,1 cm, Glenstone, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: Tim Nighswander/IMAGING4ART, courtesy Glenstone
Alberto Burri, Grande bianco plastica, 1964, Plastica (PVC) e combustione su cornice di alluminio, 191,8 x 292,1 cm, Glenstone, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: Tim Nighswander/IMAGING4ART, courtesy Glenstone

 

Alla fine degli anni 50 iniziò a realizzare i “Ferri”, serie che mostrò alla Galleria Blu di Milano nel 1958, mentre nel 1962 mostrò le “Plastiche” alla Marlborough di Roma e nelle sedi internazionali della galleria. Le “Plastiche” e i “Ferri” rappresentano un’importante svolta nell’opera di Burri, e furono realizzate riprendendo le plastiche della metà degli anni 50 e concentrandosi di più sulla superficie plastica.

 

Alberto Burri, Rosso plastica, 1961, Plastic (PVC), acrilico e combustione su plastica (PE) e tessuto nero, 142 x 153 cm, Modern Art Foundation, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artist Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: Massimo Napoli, Rome, courtesy Modern Art Foundation
Alberto Burri, Rosso plastica, 1961, Plastic (PVC), acrilico e combustione su plastica (PE) e tessuto nero, 142 x 153 cm, Modern Art Foundation, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artist Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: Massimo Napoli, Rome, courtesy Modern Art Foundation

 

La stagione delle “Plastiche” dominò tutto il decennio degli anni 60. Tra le mostre importanti in cui vengono presentate ci furono Documenta a Kassel nel 1964, la Biennale di San Paolo nel 1965, la Biennale di Venezia nel 1966. A partire da questi anni Burri lavorò anche nel teatro realizzando le scene e i costumi per diversi spettacoli. Alla fine degli anni 60 acquistò una casa a Los Angeles, dove trascorse i mesi invernali fino al 1990.

 

Alberto Burri, Grande cretto nero, 1977, acrilico e PVA su Cellotex, 149,5 x 249,5 cm, Centre Pompidou, Paris, Musée national d’art moderne/Centre de création industrielle, dono dell'artista, 1978, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: © CNAC/MNAM/Dist. RMN-Grand Palais/Art Resource, New York
Alberto Burri, Grande cretto nero, 1977, acrilico e PVA su Cellotex, 149,5 x 249,5 cm, Centre Pompidou, Paris, Musée national d’art moderne/Centre de création industrielle, dono dell’artista, 1978, © Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri, Città di Castello/2015 Artists Rights Society (ARS), New York/SIAE, Rome, Fotografia: © CNAC/MNAM/Dist. RMN-Grand Palais/Art Resource, New York

 

Negli anni 70, invece, Burri cominciò a lavorare anche ai “Cretti”, realizzati miscelando collanti con altri materiali utilizzati per ricoprire il supporto come creta, caolino e bianco di zinco. L’artista otteneva così una miscela granulosa che si gonfiava a contatto con l’aria e crepava sotto l’azione del calore, e che l’artista bloccava con la colla vinavil quando raggiungeva l’equilibrio compositivo voluto. La prima mostra dei “Cretti” fu nel 1973 alla Galleria San Luca di Bologna. Nel 1975, in una mostra al convento di S. Francesco d’Assisi, invece, mostrò un “Cellotex”, materiale utilizzato in edilizia come isolante e derivato da una miscela di colle e segatura di legno che Burri utilizzava come supporto per le sue opere, e che poi decise di usare per le sue sperimentazioni.

Nella seconda metà degli anni 70 Burri realizzò anche i suoi cretti monumentali, di cui il più famoso è quello di Gibellina, in Sicilia, realizzato sulle macerie della città distrutta dal terremoto nel 1968. L’opera fu commissionata nel 1981 e realizzata tra il 1985 e il 1989. Lasciata incompleta per mancanza di fondi, è stata completata nel 2015, anno del centenario dalla nascita dell’artista.

Nel 1978 Burri costituì una fondazione dedicata alla sua opera a Palazzo Albizzini a Città di Castello, che contiene la collezione che l’artista dedicò alla città natale. Negli anni 80 si dedicò ai grandi cicli pittorici e alle sculture di grandi dimensioni che si trovano nella Fondazione. Alla fine degli anni 80 fu realizzato sotto la sua regia anche il catalogo ragionato della sua opera.

All’inizio degli anni 90 Burri si stabilì nel sud della Francia dove, nonostante l’età avanzata, continuò a sperimentare sui materiali. L’ultimo suo lavoro fu “Metamorfex”. Morì a Nizza nel 1995.

 

Alberto Burri nel suo studio a Case Nove di Morra, Città di Castello, Italia, 1982, Fotografia: Aurelio Amendola © Aurelio Amendola, Pistoia, Italy
Alberto Burri nel suo studio a Case Nove di Morra, Città di Castello, Italia, 1982, Fotografia: Aurelio Amendola © Aurelio Amendola, Pistoia, Italy

 

Nel 2015, in occasione del centenario dalla sua nascita, Burri viene celebrato da importanti mostre tra cui la più completa retrospettiva mai realizzata al Guggenheim di New York. Sul mercato dell’arte oggi Burri è uno degli artisti italiani più ricercati. I suoi prezzi sono cresciuti negli ultimi anni insieme al volume delle opere vendute all’asta. Le serie più richieste sono i “Sacchi”, le “Combustioni” e i “Cretti”. Il record è di 7,7 milioni di dollari, segnato a Londra a febbraio 2014 per l’opera “Combustione Plastica” del 1960-61. Fino a cinque anni fa il record era pari alla metà, 3,8 milioni di dollari.

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Di SILVIA ANNA BARRILÀ

 

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